La morte di un genitore o di una delle figure di attaccamento principali è per un bambino un’esperienza sconvolgente.
Nei primi anni di vita la relazione con il genitore modella il senso di sé del bambino. Il genitore lo aiuta a rilassarsi e rassicurarsi attraverso il contatto corporeo, ne intuisce le emozioni cercando di rispondere adeguatamente ai suoi bisogni, sviluppa il legame e quindi la capacità del bambino di relazionarsi agli altri, incoraggia l’esplorazione dell’ambiente.
Più il bambino è piccolo, più la morte di un genitore rappresenta un fattore di rischio per il suo benessere psicologico. Ma ciò non dipende soltanto dall’età del bambino o dal suo sviluppo cognitivo ed emotivo, bensì anche dal modo in cui reagiscono gli adulti attorno a lui, dalle circostanze della morte, se il bambino ha assistito, il modo in cui lo ha saputo.
Prima dei due anni, la morte è paragonata al sonno, cioè a una condizione reversibile. Anche tra i 3 e i 5 i bambini credono che possa essere temporanea e magicamente sconfitta.
È solo tra i 6 e 9 anni che inizia ad essere vista come definitiva, irreversibile, universale. Dai 10 ai 12 viene raggiunta la comprensione di tutti i suoi aspetti, compresa l’inevitabilità. I ragazzi tra i 12 e i 14 anni sono in grado di interessarsi e richiedere i dettagli dell’accaduto.
Per favorire il progresso di uno sviluppo sano del bambino è necessario un sostegno attento e continuo durante il processo di elaborazione del lutto.
Ecco alcuni suggerimenti pratici:
1. Rispondere a tutte le domande sulla morte, anche a quelle più ardue. Dare ai bambini risposte oneste, adeguate alla loro età e sviluppo. Usare parole concrete come “morto” o “ucciso” e non “perso” o “andato via”.
2. Dare ai bambini la possibilità di scegliere quando possibile. Lasciarli decidere il momento in cui dire addio alla persona amata e come dirlo. Permettere loro di partecipare al funerale e ai preparativi. Incoraggiarli a esprimere il dolore e il senso di perdita nel modo migliore per loro. Se il bambino non vuole partecipare al funerale, aiutarlo a trovare la sua cerimonia e il suo rituale per dire addio.
3. Parlare della persona amata e ricordarla. Non evitare di nominarla. Menzionarla significa aiutare il bambino a esprimere i propri sentimenti. Ricordarla lo aiuta a considerare il dolore come qualcosa che tutti possono provare e che quindi fa parte della vita; lo incoraggia inoltre a focalizzare l’attenzione sui ricordi positivi.
Attraverso il ricordo, il bambino può fare proprie e svolgere per sé funzioni che il genitore esercitava per lui. Ad esempio la narrazione di episodi in cui il papà o la mamma apparivano rassicuranti, aiuta a rivolgersi a se stessi in modo rassicurante.
4. Rispettare i differenti stili di espressione del dolore. Bambini appartenenti alla stessa famiglia possono manifestare modi molto diversi di affrontare il lutto, legati alla loro età e personalità. Evitare di suggerire loro cosa dovrebbero o non dovrebbero pensare, sentire o comportarsi. Non riferire cose diverse ai diversi figli, in modo che nessuno debba mantenere segreti.
5. Ascoltare senza giudizio. Riflettere e soffermarsi su ciò che i bambini dicono di se stessi. Fare domande sulla loro esperienza e sulle idee che si sono fatti di se stessi e dell’accaduto.
6. Permettere loro e permettersi pause dal dolore. I bambini hanno bisogno di sorridere, ridere, divertirsi. Sentire che possono andare avanti.
Inoltre, la comunicazione della notizia dovrebbe avvenire il prima possibile. Aspettare troppo significa rischiare che il bambino ne venga a conoscenza da altri al di fuori della famiglia e che si senta quindi ingannato o giudicato troppo fragile per sapere.
Essere informato da un canale esterno, a volte anche casualmente, significa per il bambino restare per un po’ da solo con il proprio dolore. Ciò può portarlo anche a immaginare cose irreali o terribili.
I bambini capiscono ciò che sta succedendo dalle espressioni facciali dei parenti, dallo sconvolgimento delle abitudini, dall’atmosfera emotiva che circola intorno a loro.
Se la comunicazione avviene da parte di un genitore o del genitore rimasto in vita, questo contribuisce a confermare e rinforzare il rapporto di fiducia.
I bambini possono reagire alla perdita manifestando tristezza, rabbia, paura, confusione, colpa, ritiro. A volte in maniera discontinua e intermittente nel tempo.
In casodi morte violenta del genitore o di una figura di riferimento, il processo di elaborazione del lutto è ancor più difficile. Se il bambino ha assistito, la sofferenza derivata da quel che ha visto si somma a quella legata alla perdita.
La sua esperienza emotiva e sensoriale può riproporsi anche dopo l’accaduto sotto forma di immagini intrusive, che interferiscono con l’elaborazione del lutto. La morte di un genitore genera ansia perché il genitore fa sentire al sicuro un figlio. Se il genitore muore violentemente, il senso di sicurezza del bambino risulta ancor più minacciato.
Per questo motivo assistere alla morte violenta di una figura di attaccamento, può mettere il senso di sicurezza ancora più a repentaglio e causare maggiori sintomi da stress post-traumatico rispetto alla violenza subita in prima persona.
L’aggressività è allora spesso la difesa che il bambino sviluppa per compensare la paura e il vissuto di precarietà.
Se il bambino non ha assistito, è comunque possibile che i racconti ripetuti dai familiari creino traumi sostitutivi.
La perdita del genitore per suicidio è particolarmente disorientante e dolorosa per un bambino. Sensi di colpa, impotenza, ricerca di una spiegazione, rabbia, sconforto, senso di abbandono, vergogna e paura di essere etichettati sono tra le reazioni più comuni.
Non parlare in famiglia dell’accaduto ed evitare la parola “suicidio” contribuisce ad aumentare la paura dello stigma e di conseguenza la probabilità di ritiro e isolamento. Tutto ciò che non viene detto o comunicato può trasformarsi in un fantasma pronto a ritornare con sintomi comprensibili solo se si fa riferimento al trauma.
I bambini possono facilmente sentirsi responsabili della scelta del genitore perché un peso per lui o pensare di non avere avuto abbastanza valore ai suoi occhi per convincerlo a restare.
Il trauma della perdita violenta si aggiunge poi a un periodo più o meno lungo di instabilità, fragilità, distacco del genitore sofferente.
Per questo motivo i giovani figli di suicidi hanno probabilità abbastanza elevate di sviluppare disagio psicologico.
I bambini possiedono risorse che permettono loro di andare avanti. Ma un corretto ascolto, accompagnamento e sostegno li aiuta a sentire di poter continuare a contare sugli altri, quindi a condividere e sopportare insieme i dolori della vita.